Radon: il quadro generale degli adempimenti gestionali, le responsabilità e le prospettive dopo l’emanazione del PNAR

a cura di Mario Gallo. Esperto del Sole 24 Ore, professore a contratto di Diritto del Lavoro nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale

27/06/2024

Nel corso dell’ultimo decennio, complice anche l’incessante processo di cambiamento dei modelli socioeconomici, il perimetro delle tutele dalla salute e della sicurezza negli ambienti non solo di lavoro ma anche di vita sta progressivamente ampliandosi, ricomprendendo nuovi rischi, cd. “emergenti”, che stanno mettendo sempre più a dura prova non solo le aziende ma anche i professionisti del mondo HSE.

E in quest’ultima categoria una certa parte della dottrina, quella meno accorta, tende a inglobare anche i rischi legati all’esposizione al radon, alla luce della disciplina introdotta di recente dal legislatore con il D.Lgs. 31 luglio 2020, n.101, con il quale è stata recepita nell’ordinamento italiano la direttiva 2013/59/Euratom che, com’è noto, individua le direttrici fondamentali per la protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Invero, non va però dimenticato che già nel 1988 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’OMS aveva classificato il radon stesso e i suoi prodotti di decadimento fra le sostanze per le quali vi è la massima evidenza di cancerogenicità per l’uomo (gruppo 1), con gravi effetti soprattutto a livello polmonare, specie quando si tratta di fumatori.

Per altro va anche ricordato che tra gli anni ottanta e novanta fu condotta dall’ISPRA, dall’Istituto Superiore di Sanità e da alcuni altri enti, un’importante ricerca su base nazionale sull’esposizione al radon nelle abitazioni, da cui emerse che il valore della concentrazione media era di 70 Bq/m3,  ritenuto relativamente elevato rispetto alla media mondiale (circa 40 Bq/m3) e a quella europea (circa 59 Bq/m3), con un quadro a livello regionale molto differenziato, da cui emergeva una situazione più critica in alcune aree del Paese.

Pertanto, non è possibile catalogare il radon con un rischio “emergente”; al contrario è, invece, un killer invisibile che esiste da sempre, ma che, purtroppo, fin ora è stato sottovalutato nella sua portata, anche da parte delle stesse istituzioni.

Eppure, come si è visto i gravi danni che esso produce sulla salute umana sono, ormai, da tempo conclamati, ma la sensazione che si ha è che, ancora oggi, il radon è visto, tutto sommato, come un rischio di “serie b”.

Appare necessario, quindi, compiere una ricostruzione sistematica della complessa disciplina in materia, al fine d’identificare i profili più significativi, i rapporti con il D.Lgs. n.81/2008, le principali ricadute gestionali per i datori di lavoro e, infine, le possibili responsabilità penali, anche alla luce degli orientamenti espressi ultimamente in materia della giurisprudenza. 

Il quadro generale della riforma del D.Lgs. n.101/2020

Un primo aspetto che deve essere subito messo in risalto è che, rispetto all’approccio superficiale nel considerare i rischi legati al radon, un segnale positivo di una possibile inversione di marcia è rappresentato proprio dal D.Lgs. n.101/2020.

Infatti, anche se a tale provvedimento, nel momento della sua genesi, forse non è stata data da gran parte del mondo della prevenzione la dovuta importanza – in quanto è arrivato, per altro, in piena emergenza COVID-19, ossia uno dei momenti più bui dal dopoguerra – non c’è dubbio che potrebbe essere il vero punto di svolta per l’avvio di una nuova stagione.

In effetti, va precisato che le tutele specifiche delle lavoratrici e dei lavoratori dai rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti nel nostro ordinamento interno già erano previste dall’abrogato D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230 – con il quale hanno trovato attuazione le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom e 2009/71/Euratom – secondo il principio di specialità delle norme in materia rispetto a quelle di portata generale previste dal cd. “Testo unico” della sicurezza n.81/2008 (cfr.art.180, c.3); tuttavia, tale regime non aveva la necessaria incisività sul fronte della prevenzione dei rischi da gas radon.

Per altro, va anche considerato che tale provvedimento non si applicava all’esposizione al radon nelle abitazioni (art.1, c.1-bis); il D.Lgs. n.101/2020, quindi, pur riprendendo molteplici sue disposizioni ha, introdotto anche una nuova disciplina che ora si estende anche agli ambienti di vita e che, per quanto riguarda la protezione dal radon nei luoghi di lavoro, appare più ampia e definita.

Inoltre, elemento certamente non secondario è nel controllo dell’esposizione al radon indoor l’applicazione del principio di cd. ottimizzazione e del livello di riferimento (LDR) come strumento decisionale.

Senza dimenticare, poi, l’introduzione di una nuova figura, l’esperto in interventi di risanamento, ossia “la persona che possiede le abilitazioni, la formazione e l’esperienza necessarie per fornire le indicazioni tecniche ai fini dell’adozione delle misure correttive per la riduzione della concentrazione di radon negli edifici ai sensi dell’articolo 15” (art.7, c.1, n.40, D.Lgs. n.101/2020); a tale figura – che deve essere in possesso delle abilitazioni e dei requisiti formativi di cui all’Allegato II – è attribuita, pertanto, la funzione di supporto a beneficio sia dell’esercente che al proprietario di abitazioni.

A corollario non va nemmeno dimenticato, poi, che a differenza di quanto accadeva con la previgente disciplina, il D.Lgs. n.101/2020 presenta molteplici disposizioni di coordinamento con il D.Lgs. n.81/2008; ciò, evidentemente, è molto positivo perché agevola i molteplici adempimenti per i datori di lavoro.

L’intervento correttivo: la rimodulazione della definizione di livello di riferimento (LDR)

Un ulteriore passo in avanti, inoltre, è stato compiuto con il D.Lgs. 25 novembre 2022, n.203, che ha introdotto una serie d’importanti modifiche al citato D.Lgs. n.101/2020, finalizzate essenzialmente a recepire le diverse osservazioni formulate dalla Commissione europea, facendo luce anche su alcune zone grigie rilevate nella prima fase di applicazione della nuova normativa; per altro grazie a tale provvedimento è stato chiusa definitivamente anche la procedura di infrazione n.2018/2044. 

Si tratta, quindi, di un importante provvedimento correttivo, con il quale sono stati eliminati anche molteplici refusi e, inoltre, sono state recepite le proposte integrative e modificative avanzate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Tale provvedimento, abbastanza corposo, ha introdotto quindi molteplici innovazioni riguardanti principalmente le definizioni legali, le sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti, la formazione, alcuni obblighi del datore di lavoro, le attività presso terzi e il quadro sanzionatorio.

E diverse modifiche hanno interessato anche il Capo I del Titolo IV del D.Lgs. n.101/2020, che prevede un quadro molto articolato e, invero, abbastanza complesso di misure finalizzate alla protezione dal radon.

Al tempo stesso sono state apportate anche alcune rilevanti modifiche al quadro delle definizioni contenute nell’art.7 del D.Lgs. n.101/2020; a mero titolo esemplificativo, va ricordata la rimodulazione di quella relativa al livello di riferimento (LDR), riportata al n.86, che ora è inteso come “in una situazione di esposizione di emergenza o in una situazione di esposizione esistente, il livello di dose efficace o di dose equivalente o la concentrazione di attività al di sopra del quale non è appropriato consentire le esposizioni derivanti dalle suddette situazioni di esposizione, anche se non è un limite che non può essere superato”.

Quindi, nel caso di esposizione esistente lo strumento operativo per la radioprotezione non è più il livello di azione ma, appunto, il livello di riferimento (LDR).

Il campo di applicazione

Alcune importanti modifiche sono state apportate anche a diverse disposizioni contenute nella sezione II riguardante l’esposizione al radon nei luoghi di lavoro; in particolare, preme sottolineare che, secondo quanto stabilisce l’art.16, le stesse trovano applicazione nei seguenti casi:

a) luoghi di lavoro sotterranei;

b) luoghi di lavoro in locali semisotterranei o situati al piano terra, localizzati nelle cd. aree prioritarie di cui all’art.11;

c) specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel Piano
nazionale d’azione per il radon di cui all’art.10 (cd. PNAR);

d) stabilimenti termali.

Come si può notare il legislatore ha cercato di ancorare il campo applicativo ad elementi definiti, per prevenire possibili incertezze, e sotto tale profilo va anche osservato che il citato D.Lgs. n.230/2022, ha anche precisato che, ai fini dell’applicazione del Capo I del Titolo IV, per luogo di lavoro sotterraneo s’intende il “locale o ambiente con almeno tre pareti sotto il piano di campagna, indipendentemente dal fatto che queste siano a diretto contatto con il terreno circostante o meno”.

Gli obblighi fondamentali dell’esercente.

Ma diverse modifiche sono state introdotte dal D.Lgs. n.230/2022, anche all’art.17 del D.Lgs. n.101/2020, che disciplina gli obblighi dell’esercente, inteso come “una persona fisica o giuridica che ha la responsabilità giuridica ai sensi della legislazione vigente ai fini dell’espletamento di una pratica o di una sorgente di radiazioni” (art.7, c.1, n.38).

È bene precisare anche, in primo luogo, che per pratica s’intende un’attività umana che può aumentare l’esposizione di singole persone alle radiazioni provenienti da una sorgente di radiazioni ed è gestita come una situazione di esposizione pianificata (art.7, c.1, n.107); e per sorgente di radiazioni s’intende una qualsiasi fonte che può provocare un’esposizione, attraverso l’emissione di radiazioni ionizzanti o la presenza di materiali radioattivi (art.7, c.1, n.138).

Si tratta, quindi, di una definizione che ha una portata molto ampia, come del resto emerge anche dalla collocazione dell’art.17 all’interno della sezione I (disposizioni generali) del Capo I, collegate all’assunzione, da parte di una persona giuridica (ente) o fisica, di responsabilità radioprotezionistiche; tale soggetto, quindi, occupa una specifica posizione di garanzia e protezione per quanto riguarda le norme fondamentali di sicurezza relative, appunto, alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti con riferimento all’espletamento della pratica o della sorgente di radiazioni.

Per altro, lo stesso soggetto è titolare di poteri gestionali ed economici e, di conseguenza l’art.17, c.1, identifica quale suo primo obbligo fondamentale quello di completare le misurazioni della concentrazione media annua di attività di radon in aria entro ventiquattro mesi; tale termine massimo è decorrente dall’inizio dell’attività quando si tratta di luoghi di lavoro sotterranei e di stabilimenti termali (art.16, c.1, lett. a, d).

Invece, il termine decorre dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dell’elenco delle aree prioritarie di cui all’art.11, c.2, per i luoghi di lavoro in locali semisotterranei o situati al piano terra (art.16, c.1, lett. b), o dall’inizio dell’attività, se questo è successivo; analogamente, per specifiche tipologie di luoghi di lavoro, identificate nel Piano nazionale d’azione per il radon (PNAR) di cui all’art.10, il termine decorre dalla pubblicazione di tale Piano in Gazzetta Ufficiale, o dall’inizio dell’attività, se questo è successivo.

Per altro, in sede correttiva il D.Lgs. n.230/2022, ha inserito in tale articolo il c.1-bis, in base al quale, fermo restando quanto previsto dalle lett. a) e b) del c.1, nei luoghi di lavoro in locali semisotterranei e situati al piano terra l’esercente è tenuto a completare le misurazioni entro il termine di 18 mesi, decorrenti dall’individuazione delle citate aree prioritarie; a tal proposito va precisato che l’elenco di tali aree è pubblicato da ciascuna regione e provincia autonoma sulla Gazzetta Ufficiale ed è aggiornato ogni volta che il risultato di nuove indagini o una modifica dei criteri lo renda necessario (art.11, c.2).

Livelli massimi di riferimento ed esiti delle misurazioni

Per quanto, invece, riguarda gli esiti della misurazione del radon è importante sottolineare che la condotta che dovrà tenere l’esercente varia a seconda degli stessi; a tal proposito va sottolineato che l’art.12 stabilisce che i livelli massimi di riferimento, espressi in termini di valore medio annuo della concentrazione di attività di radon in aria, sono di  300 Bq m-3 per le abitazioni esistenti, che scendono a 200 Bq m-3 per le abitazioni costruite dopo il 31 dicembre 2024; per i luoghi di lavoro è fissato in 300 Bq m-3 .

Ebbene, il c.2 dell’art.17 stabilisce che, qualora la concentrazione media annua di attività di radon in aria non superi il livello di riferimento, l’esercente è tenuto ad elaborare e a conservare per un periodo di otto anni un documento contenente l’esito delle misurazioni nel quale è riportata la valutazione delle misure correttive attuabili, che è parte integrante del DVR di cui all’art.17 del D.Lgs. n.81/2008.

Va altresì precisato che tale valutazione deve essere aggiornata ripetendo le misurazioni ogni otto anni e ogniqualvolta siano realizzati interventi previsti dall’art.3, c.1, lettere b), c) e d) del D.P.R. n.380/2001 (cd. “Testo unico dell’edilizia”) che comportano lavori strutturali a livello dell’attacco a terra nonché gli interventi volti a migliorare l’isolamento termico; tale disposizione riguarda, quindi, gli interventi sugli edifici di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia.

Qualora, invece, la predetta concentrazione media annua di attività di radon in aria superi il livello di riferimento l’esercente ha l’obbligo di adottare misure correttive finalizzate alla riduzione delle concentrazioni al livello più basso ragionevolmente ottenibile, avvalendosi della già citata figura dell’esperto in interventi di risanamento radon, tenendo conto “……dello stato delle conoscenze tecniche e dei fattori economici e sociali” (c.3).

In tale fattispecie, tali misure dovranno essere completate entro due anni dal rilascio della relazione tecnica rilasciata dei servizi di dosimetria (cfr.art.155), che andrà a costituire parte integrante del DVR di cui all’art.17 del D.Lgs. n.81/200, e verificate, sotto il profilo dell’efficacia, mediante nuova misurazione; al tempo stesso la stessa norma obbliga l’esercente a garantire il mantenimento nel corso del tempo dell’efficacia delle misure correttive e a ripetere le misurazioni con cadenza quadriennale.

A corollario, poi, il c.4 prevede che qualora, nonostante l’adozione delle misure correttive, la concentrazione media annua di radon resti superiore al livello di riferimento, l’esercente deve effettuare la valutazione delle dosi efficaci annue, avvalendosi dell’esperto di radioprotezione che rilascia un’apposita relazione, o delle corrispondenti esposizioni integrate annue. 

Invece, nel caso in cui i risultati della valutazione siano inferiori ai valori indicati all’art.12, c.1, lett. d), ossia 6 mSv – in termini di dose efficace annua o del corrispondente valore di esposizione integrata annua riportato nell’Allegato II, sez. I, punto 1 – l’esercente dovrà tenere sotto controllo le dosi efficaci o le esposizioni dei lavoratori “……fintanto che ulteriori misure correttive non riducano la concentrazione media annua di attività di radon in aria al di sotto del predetto livello di riferimento, tenendo conto dello stato delle conoscenze tecniche e dei fattori economici e sociali”; l’obbligo di conservazione dei risultati delle valutazioni è per un periodo non inferiore a dieci anni. 

Sempre in sede correttiva, inoltre, è stato inserito nel c.4 dell’art.17 del D.Lgs. n.101/2020, la previsione che nel caso in cui i risultati della valutazione siano superiori ai valori indicati all’art. 12, c.1, lett. d), ossia come già detto di 6 mSv, l’esercente ha l’obbligo di adottare e attuare una serie di misure che sono previste nel Titolo XI, riguardante l’esposizione dei lavoratori.

Profili generali degli adempimenti gestionali del datore di lavoro

In merito al regime previsto dal citato Titolo XI per la tutela dei prestatori di lavoro, vanno compiute alcune osservazioni di ordine generale; la prima è che, nella predetta fattispecie, non si applicano gli artt. 109, c. 2, 3, 4 e 6, lettera f) e 130, c.3, 4, 5 e 6.

Altro elemento significativo è che l’art.107 stabilisce che il dovere di protezione andrà assolto ai fini di tutelare i lavoratori secondo la definizione contenuta nell’art.2, c.1, lett. a), del D.Lgs. n.81/2008 (quindi i lavoratori dipendenti e quelli ad essi equiparati come, ad esempio, i soci lavoratori, i lavoratori in somministrazione, i collaboratori coordinati e continuativi di cui all’art.409 c.p.c. che effettuano la propria prestazione lavorativa nei luoghi di lavoro del committente, i volontari, etc.).

Per quanto, invece, riguarda gli obblighi gestionali del datore di lavoro va osservato che la disciplina tende a ricalcare il modello prevenzionale previsto dal D.Lgs. n.81/2008, sia pure con alcune differenze.

Infatti, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, va sottolineato che, coerentemente con quanto prevede l’art.17 del D.Lgs. n.81/2008, anche la valutazione del rischio da radon costituisce per la sua stessa natura un obbligo non delegabile del datore di lavoro (art.108); tuttavia, la stessa norma estende l’indelegabilità anche alle nomine dell’esperto in radioprotezione (art.128) e del medico autorizzato per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria (art.134).

Al tempo stesso l’art.109, definisce – sia pure con alcune sbavature – gli obblighi dei datori di lavoro, dirigenti e preposti che si traducono in una serie di adempimenti che andranno calibrati sulle specificità della gestione del rischio da radon; invece, gli artt.110 e 111 sono dedicati alla formazione dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori che, come è stato precisato dal D.Lgs. n.230/2022, è integrativa rispetto a quella prevista dall’art.37 del D.Lgs. n.81/2008.

L’importanza dell’informazione e della sensibilizzazione dei datori di lavoro

Si tratta, quindi, di un quadro normativo molto complesso, qui richiamato solo per sommi capi ma di per sé sufficienti a far comprendere l’importanza che i datori di lavoro siano correttamente informati sugli obblighi gravanti in materia di radon.

Sotto tale profilo un ruolo importante avranno, quindi, le campagne d’informazione e di sensibilizzazione che, in base a quanto previsto dall’art.14, c.2, dovranno essere promosse dalle amministrazioni statali, dalle Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, e riguardare la misurazione della concentrazione media annua di attività di radon e i mezzi tecnici disponibili per ridurne la concentrazione, sulla base delle indicazioni del Piano nazionale d’azione per il radon.

Il Piano nazionale d’azione per il radon (PNAR)

Proprio il Piano nazionale d’azione per il radon (PNAR) era, in effetti, un importante tassello mancante di questo complesso mosaico; infatti, anche se il primo Piano risale al 2002 quello che è stato adottato ora, per il periodo 2023-2032, con il DPCM 11 gennaio 2024  risponde a specifici obblighi normativi e, in particolare, alle previsioni dell’art.10 del D.Lgs. n.101/2020.

Questo nuovo provvedimento, che fonda le sue radici sul principio di ottimizzazione di cui all’art.1, c.3, del D.Lgs. n.101/2020, detta, infatti, le linee strategiche volte alla misurazione, alla prevenzione e alla riduzione della esposizione della popolazione e dei lavoratori; in particolare, va osservato che l’azione 1.3 stabilisce che “i luoghi di lavoro possono differire in termini di caratteristiche strutturali, di parametri microclimatici, di occupazione del personale, modalità organizzative, ecc.: sulla base di questi e altri fattori, è necessario identificare quali situazioni possono comportare elevate esposizioni al radon”.

Al tempo stesso il PNAR riporta anche una vasta serie d’indicazioni tecnico – scientifiche, che tengono conto delle varie ricerche compiute, da cui emerge che sono diverse le regioni che sono maggiormente interessate dal radon negli edifici; inoltre, nell’appendice (tab.16) è riportato un primo elenco delle specifiche tipologie di luoghi di lavoro richiamate all’artic16, c.1, lett. c) del D.Lgs. n.101/2020, alle quali si applica quanto previsto dagli artt. 17 e 18 dello stesso decreto; si tratta di locali chiusi con impianti di trattamento per la potabilizzazione dell’acqua in vasca aperta; impianti di imbottigliamento delle acque minerali (naturali e di sorgente); le centrali idroelettriche.

Discipline regionali e prospettive

Altro profilo importante che qui merita, sia pure brevemente di essere richiamato, riguarda la normativa regionale; in merito va ricordato, ad esempio, che la Regione Campania ha emanato la legge 8 luglio 2019, n. 13, che prevedeva un regime in chiaroscuro su diversi punti come, ad esempio, quello degli edifici esistenti e il significato di edifici “aperti al pubblico”; ma a muoversi era stata anche le Regione Puglia con le leggi 3 novembre 2016, n.30, e 30 aprile 2019, n.18.

Si tratta di leggi regionali che appaiono, ormai, superate dal D.Lgs. n.101/2020, che, come si è visto, ha novellato il regime protettivo dalle radiazioni ionizzanti, stabilendo anche nel già citato art.10, c.3, che entro il termine di entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del PNAR le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, dovranno procedere ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle indicazioni del Piano. 

Questo è un passaggio importante in quanto si spera che si arrivi in futuro ad una situazione di sostanziale uniformità normativa nei diversi territori regionali, sia pure tenendo conto delle specificità; nel frattempo si è mossa subito la Regione Lombardia con la legge 3 marzo 2022, n.3, che ha apportato alcune modifiche al Titolo VI della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità) e alla legge regionale 10 marzo 2017, n. 7 (Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti).

Malattie professionali ed esposizione al radon

Il quadro dell’evoluzione normativa in materia di radon si completa, infine, con il Decreto interministeriale 10 ottobre 2023, che va precisato ha modificato e integrato le tabelle delle malattie professionali nell’industria e di quelle nell’agricoltura, previste rispettivamente dagli artt. 3 e 211 del D.P.R. n.1124/1965 , sulla base della proposta della Commissione scientifica formulata ai sensi dell’art.10 del D.Lgs. n.38/2000.

In particolare, è stata riconosciuta come malattia professionale tabellata il “Tumore maligno al polmone” dovuto a lavorazioni che espongono all’azione del radon in ambiente sotterraneo, con un periodo massimo d’indennizzabilità illimitato dalla cessazione della lavorazione.

Responsabilità penali e orientamenti giurisprudenziali

Come accennato alcune considerazioni conclusive vanno svolte anche per quanto riguarda i profili sanzionatori; in primo luogo, va osservato che la violazione di molteplici disposizioni contenute nel titolo IV del D.Lgs. n.101/2020, comportano il sorgere di una responsabilità penale in capo all’esercente.

Infatti, a mero titolo esemplificativo, l’art.205, c.1, stabilisce che tale sogetto qualora non abbia effettuato con le modalità e le scadenze indicate le misurazioni e le valutazioni di cui ai già citati art.17, c.1, 1-bis, 2 e 3, e art.22, c.1, 2 e 3, è punito con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda da euro 2.000,00 ad euro 15.000,00. 

Si tratta, quindi, di un’ipotesi di natura contravvenzionale che ricorre anche qualora l’esercente, in violazione dell’art.17, c.3, non si avvale dell’esperto in interventi di risanamento – di cui all’art.15 – o non pone in essere le misure correttive indicate dallo stesso; in tali fattispecie la condotta omissiva determina l’applicazione della sanzione penale dell’arresto da sei mesi ad un anno o l’ammenda da euro 5.000,00 ad euro 20.000,00.

In merito va anche rilevato poi che, come precisato dalla S.C. di Cassazione, sez. III pen. nella sentenza 11 novembre 2020, n.31513 – relativa ad un caso di omessa valutazione dei rischi derivanti dal radon in uno stabilimento termale – con riguardo “…..agli obblighi penalmente sanzionati che gravano sull’esercente – cioè, giusta la definizione contenuta nell’art. 7, comma 1, n. 38), d.lgs. 101/2020, che non spiega effetto novativo rispetto ad un’interpretazione consolidata ricavabile dai principi generali, sulla «persona fisica o giuridica che ha la responsabilità giuridica ai sensi della legislazione vigente ai fini dell’espletamento di una pratica o di una sorgente di radiazioni» – in relazione ai luoghi di lavoro considerati dalla legge per i possibili rischi in materia di radiazioni vi è continuità normativa tra il citato art. 16, comma 1, lett. d), d.lgs. 101/2020 e l’abrogato art. 10 bis, comma 1, lett. e), d.lgs. 230/1995, posto che entrambe le disposizioni contemplano gli stabilimenti termali”.

E nel caso in cui sia accertato che la malattia professionale derivante dall’esposizione al radon sia conseguenza di condotte omissive da parte del datore di lavoro questi risponderà del reato di omicidio colposo (art.589 c.p.) o di lesioni colpose (art.590 c.p.) con violazione delle norme antinfortunistiche  ; per altro, si potrebbe configurare, in tali fattispecie, anche la responsabilità amministrativa dello stesso ente ai sensi del D.Lgs. n.231/2001.

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